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mercoledì 22 febbraio 2012

LA VIA DELLA SALUTE



Siamo entrati da pochi giorni nella stagione dei Pesci, l'ultimo segno astrologico, il più controverso, ma anche il più ricco di significati profondi. E'l'emblema, il glifo delle contraddizioni umane.
Ci sono due modi di affrontare la musica celeste ed i suoi simboli.
Il primo è quello convenzionale, seguendo il movimento orario, lo scorrere delle stagioni, l'Ariete, l'Alpha e L'Omega, la primavera, l'est e l'ovest, l'apparente ergersi dei pianeti, e la scrittura da sinistra a destra. L'altro, quello antioriario, è il controcanto, nel sistema eliocentrico che pone il Sole al suo posto, al centro, è il "vero, "reale" movimento planetario, e rappresenta il percorso dell'anima, dove finalmente gli ultimi saranno i primi.
Ed ecco che il segno Pesci, con il suo domicilio, la dodicesima casa, diventa il primo segno nel percorso verso risveglio, l'imbocco della via che porta alla salute dell'anima.
Nella iconografia tradizionale i Pesci e la dodicesima casa rappresentano gli ospedali, le istituzioni chiuse, le reclusioni, ed in senso più ampio tutte le situazioni drammatiche, di angoscia. Notava argutamente la Morpurgo, "i posti dove si rinuncia al nome e si ottiene in cambio un numero, una cifra". Le caratteristiche dei Pesci nella iconografia tradizionale riporta sempre caratteristiche estreme ed opposte, Dr. Jekill e Mr. Hyde è l'esempio più semplice e facile che viene in mente.
Come si può reagire alle situazioni tragiche nella vita? Nell'abbandono e nella rassegnazione, oppure nella ribellione e nella lotta? I Pesci sono muti e non danno risposta. Segno di paure incontrollabili, afferma che l'unica cosa da temere è la paura stessa. L'esempio Cristico (christus= icthus= pesce) si dipana tra un "perdona loro perchè non sanno quello che fanno" e un "ELI' ELI'LEMA SABACTANE", "Dio Dio perchè mi hai abbandonato".
I Pesci ripercorrono una tragitto fondamentale dell'esperienza umana riassunto nella tragedia del "capro espiatorio" a sfondo religioso.Il carattere straordinario dell'esperienza del sacro violento lascia inevitabilmente un ricordo duraturo nella comunità dei linciatori, che ne fanno oggetto di narrazione del mito. Quest'ultimo non è che il ricordo dell'insperata salvezza in un momento di estrema crisi; ovvio pensare che ci si aggrappi a tale mezzo per scongiurare nuovi scoppi di violenza o, qualora questi si siano già scatenati, per porvi termine. La religione arcaica altro non è che un insieme di pratiche volte a prevenire o reprimere la violenza intestina mediante la ripetizione controllata del meccanismo del capro espiatorio; questo spiega l'ubiqua presenza del sacrificio nel mondo primitivo. Cristo è Dio che si sacrifica per il mondo. Ma anche nel mondo di oggi, è cronaca di questi giorni, basta prendere nel senso giusto le parole di un "tecnico" arrivato quasi per caso" a posizioni di estremo potere che arringa le folle con "sacrifici, lacrime e sangue". Che è altro è se non rendere certi i "numeri" delle vittime sacrificali e quindi dei capri espiatori?
Si comprende così la funzione del capro-espiatorio di cui parla l'Antico Testamento, il quale porta via con sé, nel deserto o nella morte, non tanto i peccati quanto i desideri convergenti, e per questo violenti, dell'intera comunità.
Il tema del sacrificio andato storto è diffusissimo nella tragedia greca, dove appare chiaramente come un eccesso di violenza o una sostituzione impropria, possano scatenare esattamente ciò che volevano prevenire.
Quello che è certo che il tragico nel mondo di oggi appartiene più alla sfera del quotidiano che al mondo dell'arte. La tragedia, che ha radici molto profonde come forma d'arte, ha origini intorno al VI secolo a.C. nell'Antica Grecia, e si manifestava come esaltazione del sacro in onore del dio Dioniso, il quale veniva festeggiato con danze, canti e feste. L'origine del termine è avvolta nel mistero: secondo le teorie più accreditate la prima parte del nome va messa in rapporto con “tràgos” “caprone” e la seconda con “oidè” “canto”, infatti si pensa che probabilmente la tragedia è così chiamata o perché il vincitore della gara otteneva, per l'appunto, un capro come ricompensa (canto per il capro), oppure perché i coreuti indossavano delle maschere con sembianze caprine (canto dei capri).
Il tempo della tragedia è un presente assoluto "hic et nunc" che agisce in quella 'realtà alternativa' che è il momento teatrale. Lo spettatore della Grecia antica che assiste ad una tragedia vive una realtà che differisce da quella che sperimenta quotidianamente, ma che è altrettanto reale. L'atto teatrale, che accade in un tempo presente contemporaneo a quello di chi assiste, rende possibile qualsiasi evento imprevisto, esattamente come il presente dell’esperienza quotidiana, pur rifacendosi ai miti che in quanto tali sono eventi passati e immutabili. I Pesci sono quindi tutti gli eroi tragici,l'anonimo, i caduti senza nome. Questo senso eroico diffuso, nell'attore, non perde la sua facoltà di autodeterminazione: i testi tragici sottolineano la volontà dell'uomo come elemento determinante, mettendolo a confronto con una alternativa, opposta al suo destino, nella quale egli può ancora scegliere. E da qui l'abmivalenza del segno dei Pesci, considerato doppio mobile ed instabile. La contraddizione, all'interno dello schema astrologico è tra l'illusione e realtà, tra presente e passato. Nei Pesci prende forma il paradosso della coesistenza di due, o più, diversi universi temporali.
Il percorso obbligato del mito dei Pesci costituisce il destino dell'eroe tragico, iniziando la riflessione umana sul contrasto tra necessità e libertà, riflessione con la quale anche il mondo contemporaneo continua a confrontarsi. E' anche il confronto della giustizia divina, del rapporto dell'uomo e dell'intera stirpe umana con le divinità, che per i Greci sono potenti ma lontani ed inaccessibili. La tragedia rappresenta il dolore e l'infelicità dell'uomo che non accetta mai compromessi, mettendo in evidenza il ruolo dell'irrazionale, della passione e dei sentimenti.
Al tempo dell'antica Grecia, una tragedia veniva così inscenata: Un gruppo di 15 persone, chiamato Coro, narrava l'antefatto cantandolo. Successivamente dal coro si staccavano, emergevano e si materializzavano piano piano dai 2 ai 5 attori che inscenavano lo spettacolo.
Ma ben presto prende importanza l'attore (il "protagonista"), che viene affiancato da un secondo attore ("deuteragonista") e poi (ad opera di Sofocle) da un terzo ("tritagonista"). A causa dell'interazione tra gli attori, che dialogano tra di loro, ecco che il baricentro dell'azione si sposta sul loro dialogo. Il Coro tende a diventare quasi uno sfondo scenico, o per lo meno a perdere la funzione originaria, interagendo in modo complesso con l'azione. Iniziano a parlare in trimetri giambici, metro che produce una cadenza molto vicina al parlato e non sono accompagnati da musica, mentre il Coro è continuamente accompagnato dal suono del flauto. Il compito del Coro è anche quello di spiegare al pubblico azioni e reazioni che avvengono sulla scena, le quali, per motivi ovvi, non sono di facile e immediata comprensione; il Coro è neutrale rispetto agli attori e alle loro azioni, e svolge la funzione di "narratore". I cittadini greci infatti erano obbligati a partecipare agli spettacoli, in modo che tramite questi si arrivasse a quella purificazione dei mali e presa visione dei propri limiti che era chiamata da Aristotele catarsi. Oggi con la catarsi artistica praticamente assente il senso del tragico oggi non ha molte possibilità come forma d’arte, a meno di cercare il tragico in qualcosa di estraneo all’arte stessa, cioè le divinità di oggi, il danaro, le banche, gli spread, gli indici della borsa. Mai le divinità sono state così false ed illusorie. L’uomo d’oggi è infatti, secondo molti autori tra cui Steiner, è saturato da catastrofi e da atrocità di fronte alle quali reagisce spesso con indifferenza (il cui limite è rappresentato dall'opposto segno della Vergine, che indica il percorso della salute dell'anima come orientamento verso ordine, pulizia, armonia, e bellezza).