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lunedì 11 ottobre 2010

IL POETA E NETTUNO


Pablo Neruda Cancro, Ascendente Sagittario, con uno "stellium" planetario in Cancro, in VIII casa, formato da Nettuno, Marte, Sole, Luna, Venere e Mercurio nasce a Parral, 12 luglio 1904 – e muore a Santiago, 23 settembre 1973.
E' stato uno dei massimi poeti cileni. Viene considerato una delle più importanti figure della letteratura latino americana contemporanea e mondiale.

Il suo vero nome era Neftalí Reyes Basoalto (per esteso, Ricardo Eliezer - o Eliecer - Neftalí Reyes Basoalto). Usava l'appellativo d'arte Pablo Neruda (dallo scrittore e poeta ceco Jan Neruda) che in seguito gli fu riconosciuto anche a livello legale. È stato insignito nel 1971 del Premio Nobel per la letteratura.

Nettuno è il pianeta dell'illusione ma anche della poesia. Rappresenta tutto ciò che è nebbioso, fumoso, poco distinguibile,
e l'ambiente dove l'intuito è l'unico modo per orientarsi. Praticamente tutti i pianeti nella carta astrale di Neruda, con l'eccezione di Ascendente, Giove, Saturno, Urano e Plutone, sono in segno d'Acqua. L'eccesso di acqua in un tema Natale simboleggia la ricettività estrema, intense emozioni associate a nitidezza, impressionabilità e l'ispirazione. Nettuno è il pianeta dei medium, mistici e della fede religiosa e del fondamentalismo. In un tema astrologico, indica il distillato, la diluizione delle emozioni, la vaghezza, la comprensione dell'ambiente proprio attraverso le emozioni e l'assenza di limiti chiari e determinati e delle strutture. Non a caso Neruda scrive della sua nascita poetica nel bosco, simbolo di purezza rispetto ad un mondo, già all'inizio del '900, in una fase di modernismo esasperato. Neruda nasce nella natura e canta per tutta la vita la natura. Ciò è evidente nelle prime esperienze amorose vissute a cielo aperto, in un granaio durante la festa della mietitura che lui chiama, "dorata".

Pablo Neruda - Confesso che ho vissuto -
"L'amore vicino al grano

...Io restai a lungo supino, con gli occhi aperti, il viso e le braccia coperti di paglia. La notte era chiara, fresca e penetrante. Non c'era la luna ma le stelle sembravano appena lavate dalla pioggia e, sul sonno cieco di tutti gli altri, scintillavano tremolando solo per me nel grembo del cielo..."

e più avanti...

"L'OPPIO
...C'erano strade intere dedicate all'oppio ... I fumatori si stendevano su bassi tavolacci... Erano i veri luoghi religiosi dell'India... Non avevano nessun lusso, né arazzi, né cuscini di seta... Tutto era tavole non dipinte, pipe di bambù e poggiatesta di maiolica cinese... C'era un'aria di decoro e di austerità che non esisteva nei templi... Gli uomini addormentati non facevano movimento né rumore... Fumai una pipa... No! era niente... Era un fumo caliginoso, tiepido e latti ginoso... Fumai quattro pipe e stetti male per cinque giorni, con nausee che mi venivano dalla spina dorsale, che mi scendevano dal cervello... E un odio per il sole, per l'esistenza... Il castigo dell'oppio... Ma questo non poteva essere tutto... Si era tanto detto, si era tanto scritto, si era tanto rovistato in sacche e valige, cercando alla dogana di scoprire il veleno, il famoso veleno sacro... Bisognava vincere la nausea... Dovevo conoscere l'oppio, sapere l'oppio, per dare la mia testimonianza... Fumai molte pipe, finché conobbi... Non ci sono sogni, non ci sono immagini, non c'è parossismo... C'è un indebolimento melodico, come se una nota infinitamente dolce si prolungasse nell'aria... Uno svenimento, un vuoto dentro... Qualsiasi movimento, del gomito, della nuca, qualsiasi rumore lontano di veicolo, un colpo di clackson o un grido dalla strada, entrano a far parte di un tutto, di una riposante delizia... Capii perché i braccianti di piantagione, i manovali, i risciòmen che tirano e tirano il risciò tutto il giorno, rimangono lì all'improvviso, offuscati, immobili... L'oppio non era quel paradiso degli esotisti che mi avevano dipinto, ma I'evasior:e degli sfruttati... Tutti quelli della fumeria ercrro poveri diavoli. Non c'era nessun cuscino ricamato, nessun segno della sia pur minima ricchezza... Niente brillava` nella stanza, neppure gli occhi socchiusi dei fumatori.. Riposavano, dormivano?... Non l'ho mai saputo... Nessuno parlava... Nessuno parlava mai... Non c'erano mobili, tappeti, niente... Sui tavolacci consunti, dolcissimi da tanto contatto umano, si vedevano alcuni piccoli poggiatesta di legno... Nient'altro, tranne il silenzio e il profumo dell'oppio, stranamente repellente e penetrante... Senza dubbio lì v'era una strada verso l'annientamento... L'oppio dei magnati, dei colonizzatori, era destinato ai colonizzati... Le fumerie avevano alla porta la loro autorizzazione, il loro numero e la loro licenza... All'interno, regnavano un gran silenzio opaco, un'inazione che rimediava all'infelicità e addolciva la stanchezza... Un silenzio caliginoso, sedimento di molti sogni tronchi che ristagnavano... Coloro che sognavano con gli occhi socchiusi, stavano vivendo un'ora immersi nel mare, una notte intera su una collina, godendo di un riposo sottile e ristoratore...
Dopo quella volía non sono più tornato alle fumerie... Ormai sapevo... Ormai conoscevo... Ormai avevo toccato qualcosa di inafferrabile... remotamente nascosto dietro il fumo... ."


Pablo Neruda - Confesso che ho vissuto (Autobiografia)